domenica 21 gennaio 2001

La solidiarietà non ha colore

Il cantante colombiano, autore della contestata La camisa negra, s’impegna nella lotta contro le mine antiuomo e si dedica ai bambini del suo Paese con Inter Campus
Juanes si sbottona la camisa e dà ritmo al sociale

Adora lo sport, in particolare il calcio “che in certi eventi unisce la gente”


Mannaggia a quel titolo un po’ così. A quella “camicia nera” che gli ha procurato la fama di fascistone. Vabbè, diciamocela tutta: con la malizia politica che c’è in giro, se le è proprio andata a cercare. Ma va sempre in questa maniera quando hai la coscienza a posto e sei incosciente a ciò che vai incontro. Juan Estebán Aristizábal Vásquez, per farla breve Juanes, ha incontrato il successo due anni fa a Lipsia durante la cerimonia dei Mondiali tedeschi di calcio, accompagnando a colpi di mandolino la sua hit La camisa negra. Abbiamo capito bene, “camisa negra”? Sì, avete capito benissimo. Tradotto, camicia nera. Anche se non serve una laurea in lingue per capirlo. E nemmeno quella in storia per avere certi sospetti. Infatti, puntualmente, piovono critiche. Già esultavano alcuni nostalgici, illusi di aver finalmente trovato un’ode al regime riadattata ai giorni nostri. Gioia che dura poco. Perché Juanes, appena decollata la polemica, decide di precisare che lui è tutto tranne che fascista e che la camicia nera è simbolo di lutto, del dolore che si prova quando finisce una storia d’amore.

Credetegli. E credetegli pure quando vi rivela che è un interista doc, come il suo grande amico Ivan Ramiro Cordoba, difensore della squadra milanese. Colombiano Juanes, colombiano Ivan. E vedi come la camiseta cambia colore, anzi ne aggiunge uno e diventa negrazzurra. Senza farlo apposta, Juanes ha sposato la causa degli Inter Campus in Colombia, che combattono la povertà e l’emarginazione: “Sono stato coinvolto quattro mesi fa, appena concluderò il mio tour negli Usa svilupperemo altro lavoro. In Colombia il calcio è molto seguito, come la musica: due mondi che, uniti, possono aiutare tanta gente”. Quando si dice che il calcio sudamericano è musica. Attenzione però. Nel sociale Juanes si è dato da fare ancor prima di scoprire gli Inter Campus: nel 2006 ha creato la fondazione Mi Sangre, “che s’impegna nella lotta contro le mine antiuomo, che da noi in Colombia sono un problema molto grave. Avevo scritto una canzone sulle vittime delle mine e da lì mi invitarono a tenere concerti e incontri. Ho studiato e capito la portata della tragedia. Così mi sono impegnato con Mi Sangre che aiuta le vittime per la riabilitazione da un punto di vista educativo”.
Musica, calcio e impegno sociale. Del resto molte sue canzoni parlano “di affetti, di relazioni tra le persone e di questioni sociali che da noi sono molto sentite, soprattutto il problema dell’infanzia”. A proposito, dicono che vorresti dedicare il tuo prossimo disco ad un bambino: “Sì, ha 12 anni, si chiama John Ferney e vive a Sonson, vicino a Medellin. E’un giocatore fantastico e mi fa impazzire perché ha perso una gamba, ha attraversato la riabilitazione e ora gioca benissimo con la protesi. Lui è il perfetto esempio di cosa può fare lo sport per le persone e di quanti insegni a non mollare. Quando gli parlo è sempre felice e positivo”.

Juanes, che lo scorso marzo ha presentato a Milano il suo nuovo album La vida es un ratico ospitando Cordoba e altri giocatori dell’Inter, ci racconta che con lo sport ha sempre avuto un bel rapporto: “A scuola giocavo a calcio e a basket e ora amo correre. Mi piace quando lo sport unisce la gente, in certi grandi eventi è come se tutto il mondo si ritrovasse in un luogo, ricorda certe rappresentazioni religiose. Non mi piace se ci sono troppe polemiche e quando potere e soldi hanno il sopravvento. Succede spesso”. E lo dici a noi, formati al corso di calciopoli? Prima la classica, poi la metal: di chitarre Juanes ne ha cambiate parecchie. Ma il suo amore per la musica è rimasto lo stesso. Come quello per il sociale. Colore della camicia permettendo.

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