sabato 20 gennaio 2001

Fenomeno senza età

L’ex campione italiano di pallavolo ci parla del suo impegno per i bambini
Andrea Lucchetta, solidarietà oltre la rete

“Io testimone, non testimonial. E bisogna diffidare da chi usa il tuo nome”


Fa parte della generazione dei fenomeni. Quella dei Zorzi, dei Gardini, dei Cantagalli, dei Tofoli, dei Pasinato, degli eccetera eccetera. E non se la prenda chi non è stato menzionato, perché una pagina soltanto non basterebbe per raccontare le gesta di tutti i campionissimi classe ’60 della pallavolo italiana. Ecco, Andrea Lucchetta, Treviso 1962, è stato uno di questi fenomeni. E a lui dedichiamo le colonne seguenti. Non gli chiediamo come faccia ogni mattina a sistemare la sua chioma in diagonale con cotanta precisione geometrica, perché con pettine e gel è ancora un fenomeno. Non gli chiediamo nemmeno come sia arredato il suo salotto, perché con tutti quei trofei vinti in carriera intuiamo che non ci sia più spazio nemmeno per i mobili. Gli chiediamo invece se gli piace il sociale. Domanda scontata: Andrea ha a che fare con la solidarietà praticamente da sempre e gli piace da matti. C’è poco da scherzare in questo campo. Dove la rete non è quella che divide in due il rettangolo di gioco, ma quella che divide e basta. In parole povere, vogliamo sapere la sua sul concetto di discriminazione “che prende il sopravvento – spiega Andrea - quando vedi che dalla parte opposta c’è la volontà di mantenere il distacco. Un sentimento negativo che ha dimensioni storiche: il Cristianesimo, per esempio, sta pagando anni e anni di crociate, stiamo tornado indietro, verso una discriminazione al contrario”. Ragazzi, quel gran burlone di Lucchetta non ha proprio voglia di scherzare se si parla di emarginazione. Un disagio sociale che riguarda anche i bambini. Per Crazy Lucky, le creature più belle del mondo. Il suo hobby mattutino? Accompagnare i due figlioletti a scuola. Loro sì che sono fortunati. Ma tanti altri figli, accompagnati o no, a scuola nemmeno ci vanno. Il primo pensiero va quindi ai piccoli. Non solo un pensiero, ma un aiuto concreto: “Da più di quindici anni mi occupo dei problemi dell’infanzia. Visito diversi orfanotrofi ed è bello dimostrare a questi bambini che esisti, che sei vero, che sei uno di loro. Li fai giocare, li fai sorridere: basta poco per aprire il tuo e il loro cuore. Inoltre sostengo adozioni a distanza. E ultimamente sto dando assistenza ad un medico che cura alcuni bambini provenienti dal continente asiatico”.
Andrea, perché il sociale?
Il mio modo di essere vicino al sociale sta in due tipi di aspetti: quello pubblico, ovvero la condivisione di messaggi, e quello personale, che però ci tengo a non dirlo a nessuno.”
A Teatri delle diversità puoi confessarlo…
Mi dispiace, è una cosa molto personale. Ti posso solo dire che a mio avviso non basta metterci la faccia per fare solidarietà.”
Ci hai alzato la palla per una bella schiacciata: intendi dire che bisogna essere più testimoni che testimonial?
Essere testimonial, far sì che altri utilizzino la mia immagine, non m’interessa. Testimone è qualcosa che devi capire e sposare fino in fondo, che deve essere in linea con la tua persona. Io mi sento testimone perché m’identifico in ogni progetto a cui scelgo di partecipare.”
Però ci sono molte associazioni che puntano solo a farsi pubblicità sfruttando i vostri nomi.
Già, se ne sentono di tutti i colori. Bisogna stare davvero attenti e andare a vedere dove va a finire tutto il malloppo. Io condivido solo iniziative totalmente trasparenti dal punto di vista del bilancio, come Amnesty International. C’è da dire che avendo smesso di giocare ho molto più tempo per dedicarmi al sociale. Ma riesco a coinvolgere molti atleti in attività.”
Tra fenomeni di solidarietà ci s’intende.

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