
Per rendere più cristallina la sua scelta, Marco decide che rifiuterà qualunque proposta di incarico nell’esecutivo prodiano: “Continuerò a fare il senatore. Non ho chiesto nulla in cambio” [4]. Un Follini a interessi zero. Un Follini per il bene comune. Ma l’Unione ha già fatto i suoi calcoli da brivido: con uno scarto così stitico a Palazzo Madama, dove basta uno starnuto per mettere gambe all’aria l’intera maggioranza, il voticello del leader de L’Italia di Mezzo costituirà d’ora in poi la speranza a cui ancorarsi nei momenti di maremoto. “La mia proposta è questa: torniamo al centrosinistra degli anni Sessanta, quello che teneva fuori gli antagonisti e la destra di allora” [5]. Ma se pensate che abbia troncato l’operazione “ri-cerco un centro”, vuol dire che non lo conoscete bene: “Il ragionamento che faccio è ancorare il centrosinistra a una posizione più centrista, il tema che pongo è come spostare verso il centro l’asse del governo. La mia disponibilità di oggi a sostenere il governo è figlia di questo tentativo” [6].
E adesso? Votare la fiducia e poi decidere di volta in volta, oppure entrare nella maggioranza? Marco vuole preservare la sua autarchia. Anche perché non può compromettersi a oltranza: “Non ho un’idea sacrale di maggioranza e opposizione, non credo esistano due recinti: più si allentano le morse, meglio è. Il senso di una legislatura costruttiva di movimento sta nel restare imprigionati in uno dei due blocchi. Non scelgo un blocco contro l’altro: voterò sul filo del ragionamento” [7]. Il Marco Follini della primavera 2007 è un senatore indipendente che ribadisce la sua estraneità a qualsiasi logica di “buoni o cattivi”, che è convinto che “votare con Diliberto non è più imbarazzante che votare con Calderoni” [8], che risponderebbe “grazie, preferisco di no” all’eventuale assegnazione di un ministero perché non ha il sedere affezionato alla poltrona. Il Marco Follini di qualche mese dopo, invece, è ancora un senatore, ma meno, molto meno indipendente. Infatti…
Infatti qualcuno è rimasto fuori dall’arena del governo apposta per fertilizzare il terreno da cui sboccerà il Partito Democratico, miscela tra Democratici di Sinistra e La Margherita. Ma non chiamatelo “grande contenitore” o “grande gazebo”, sennò Piero Fassino, il demiurgo del nuovo soggetto politico, va su tutte le furie: diessini e diellini abbandoneranno sì i propri simboli, ma il risultato non sarà la semplice somma di due partitoni. L’obiettivo è creare un’ampia area riformista che estrometta i radicalismi della sinistra comunista. Come dire, prego cari signori Diliberto, Giordano, Pecoraro Scanio: la porta è da quella parte. Intanto Follini osserva con interesse gli sviluppi. E sembra che Walter Veltroni, candidato numero uno alla segreteria del Pd, abbia proprio bisogno di un uomo come lui, un uomo di centro. Quasi quasi, pensa Follini...
[2] Ibidem.
[3] Ibidem.
[4] Ibidem.
[5] Ibidem.
[6] Ibidem.
[7] Intervista di Aldo Cazzullo, Corriere della Sera, 24 febbraio 2007.
[8] Ibidem.
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