martedì 9 gennaio 2001

Nella casa senza libertà

Quando Marco si sentiva un coinquilino in affitto

Se l’Udc avesse davvero avuto la volontà di autonomizzarsi fino in fondo non me ne sarei andato via
[1]. Invece i suoi compagni di partito “si sono accomodati nella casa berlusconiana. Ogni tanto il condominio rivendica che si annaffino le piante, che si dia una mano di vernice, che si migliori l’ascensore… Ma senza mettere in discussione il portiere, tanto meno il proprietario della casa[2]. Il rapporto con il padrone di casa Silvio Berlusconi è sempre stato controverso fin dalla sua investitura a vice-presidente del Consiglio, il 2 dicembre 2004. Allora Follini era segretario dell’Udc da due anni esatti (dopo essere stato presidente del Ccd dal 2001 al 2002). Ciò che colpiva di lui nella Cdl era l’impeccabile capacità dialettica ed intellettuale di mediare fra l’impeto della Lega e la prudenza di An e della stessa Udc. La stessa capacità grazie a cui raccolse il 6% del consenso nazionale. Piaceva lo spot televisivo in cui Marco passeggia beato per le vie di Roma pronunciando il claim “Io c’entro”: il partito di Casini (allora Presidente della Camera) fa audience anche grazie al suo faccione.

Marco è telegenico. Marco è il volto placido della riscossa rampante dell’ex-Ccd. Marco è il braccio, ma non destro, di Pier Ferdinando. Perché se il presidente udiccino nasconde sotto le sue vesti istituzionali un’accondiscendenza incondizionata verso Berlusconi, il segretario Follini proprio non riesce a mandar giù l’idea di una sudditanza psicologica nei confronti di Forza Italia. Pier alla stregua di Silvio. E Marco? Non scherziamo. Lui è la voce fuori dal coro. Una voce ancora timida. Un sussurro. Quel che basta per rompere il silenzio. Perchè voglio vedere te ogni giorno fare il sorrisino di circostanza con Giovanardi e Buttiglione. Gente che con Silvio è pappa e ciccia. Mentre Marco, figuriamoci, fatica persino a passargli una penna.

Però c’è da proporgli la riforma della legge elettorale in senso proporzionale come contropartita tecnica. D’altro canto se la Lega mette sul piatto la devolution, l’Udc non può non chieder nulla in cambio della fedeltà offerta a Fi. Primavera 2006, tempo di elezioni politiche. Secondo i calcoli del centrodestra il proporzionale garantirebbe una vittoria di ampio scarto sull’Unione, evitando le insidie del maggioritario. Insomma, Berlusconi, se vuole vincere, deve accontentare la Lega e soprattutto noi, intonano a gran voce gli udiccini. Ma non tutti. A Follini il proporzionale, così come architettato da Casini, proprio non lo convince. Anzi, una pasticcio del genere sarebbe il suicidio del sistema politico italiano. Infatti. Ma non ci voleva un mago, come Harry Potter, per capirlo.

Sì, perché Marco, occhietti vispi e occhiali rotondi, somiglia al maghetto della favola di
Joanne Kathleen Rowling. Consideriamo poi che con la sua bacchetta è riuscito, uno, ad abbattere i muri della Casa della libertà, e due, a far riapparire il governo Prodi, allora capisci perché l’accostamento fatto da Cossiga non è solo estetico. Il proporzionale? Brutta bestia, se non lo si prende per le corna: “Serviva un'altra legge, in un altro modo. Bisognava coinvolgere di più l’opposizione. Ritenevo che la possibilità per gli elettori di scegliere i candidati e di non subire troppo perentorie indicazioni dei partiti facesse parte di quel diritto in più e di quel potere in più che noi per primi avevamo evocato. In una parola, immaginavo una legge in cui furbizia e virtù si tenessero in equilibrio, e non una situazione in cui l'una schiacciasse l'altra[3]. Il disastro rimediato dal centrodestra alle Regionali del 2005 inducono Follini a sgusciare dal terzo esecutivo-Berlusconi prima e dalla segreteria dell’Udc poi. Quando? Il 15 ottobre, all’indomani del via libera alla legge proporzionale. Proprio come la voleva Casini. E non come la voleva Follini, il panzer timido, che preferiva il modello tedesco. Dimissioni, quindi. “Inevitabili” afferma. Senza rimpianti.

[1] Intervista di Mario Lavia, Europa, 8 novembre 2007.
[2] Ibidem.
[3] Marco Follini, discorso delle dimissioni, documento del 15 ottobre 2005.

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