martedì 2 gennaio 2001

Ragazzi, si mangia!

Il ristorante Italiano è sempre giovane

I ragazzi dai 20 ai 30 anni lo frequentano due volte alla settimana preferendolo a fast food e cucine straniere. E non si abbuffano

Non è certo un salsoso cheeseburger a spodestare due sugosi spaghetti al ragù. Non è certo il primo fastfood partorito dal nulla a scippare clienti ad un prestigioso ristorante cresciuto nel susseguirsi di epoche diverse. Perché nei confronti del ristorante made rigorosamente e gelosamente in Italy i clienti sono afflitti dalla sindrome di Stoccolma: una volta rapiti, iniziano ad amare il loro rapitore. Un amore a prima vista, quello che non si scorda mai perché senza fine. Un amore tramandato di generazione in generazione: i giovani raccolgono in eredità da genitori e nonni l’amore per la cucina italiana. Un amore fedele. Anche se le tentazioni, eccome che ci sono. Ma agli hamburger extra-large e ai kebab straripanti i giovani italiani continuano a preferire i classici bucatini all’amatriciana. Guardano al domani, oltre confine. Ma mangiano come ieri, a casa dolce casa. Più che bamboccioni, i giovani sono mammoni: l’Italia, patria del buon mangiare, è una mamma che fa bene la pappa ai suoi figlioli.

Francesco, 27 anni, va al ristorante almeno due volte alla settimana con la sua fidanzata: “E’ un bel sacrificio economico, ma ne vale la pena perché paghi non solo quello che mangi ma anche quello che respiri, cioè l’ambiente, l’atmosfera di socialità”. Marco, 26, va soprattutto in pizzeria ma, poiché “la pizza è solo una delle tantissime specialità italiane”, frequenta almeno tre volte al mese il ristorante “dove si mangia la vera cucina etnica che è quella regionale”. La tradizione culinaria di ogni regione, secondo Marco, va a braccetto con il patrimonio naturale e artistico: “Questo vale per tutte le regioni d’Italia - spiega Marco - Recentemente sono stato a Pienza, in Toscana, una perla di bellezze artistiche e paesaggistiche che sono completate da quelle gastronomiche come il pici, il formaggio Rossellino di Pienza, accompagnato da olio e vino”.
Secondo un’indagine Demos-Coop, circa 6 italiani su 10 vanno a ristorante almeno una volta al mese. Il 26% ci va tutte le settimane, soprattutto i giovani fino a 34 anni. "Se scelgono di andare al ristorante è perché sono cultori della cucina - afferma Paolo Caldana, presidente della Federazione Italiana dei Cuochi - sanno quello che vogliono e quello che vanno a mangiare, non solo perchè hanno le possibilità economiche".

Il flusso delle mode sociali è incessante e volubile, ma in fatto di alimentazione i giovani sono romantici conservatori a caccia della semplicità perduta: "Non c'è la maniaca ricerca di piatti barocchi, ma piatti semplici, come la bistecca fiorentina - prosegue il presidente - Roba semplice, genuina". Identità e patriottismo. Ma allora perchè il successo dei ristoranti messicani, indiani, cinesi, giapponesi? "Perchè non esistono più frontiere. La cucina straniera è curiosità, voglia di osservare nuovi metodi, di provare nuovi sapori. Anche noi cuochi di una certa età vogliamo imparare qualcosa di nuovo". Ma qualcosa da scoprire c’è sempre, soprattutto nella penisola italiana che quanto a tradizioni culinarie somiglia più ad un arcipelago: c’è molta più varietà dalle Alpi alla Sicilia che sopra le Alpi e sotto la Sicilia. "Oggi non siamo più pizza e pasta - sottolinea Caldana - ma ci riconoscono per la nostra varietà, per la nostra creatività: In Italia ti sposti di pochi chilometri e la cucina cambia radicalmente". Quindi non serve bussare al vicino: i giovani scelgono il ristorante nostrano. E si scopre che l’era della “grande abbuffata” alla Alberto Sordi è terminata: "Raro vedere un giovane cliente entrare affamato, ora non c'è più la cultura delle grosse mangiate. Il giovane italiano ha il palato fino e cerca nel piatto la delicatezza e il dettaglio. Guarda la qualità, non la quantità".

Giovani che mangiano, ma non solo. Giovani anche che vogliono lavorare ai fornelli: gli aspiranti cuochi. "C'è un grande interesse ad avvicinarsi al mondo della cucina. Ma la figura del cuoco non è più quella di una volta. Oggi, grazie ai nuovi metodi di cottura, non si lavora più in cucina 24 ore su 24, non c'è più la cultura morale dei grossi sacrifici quotidiani. Diventà sì un bel lavoro ben pagato, professionale e anche divertente. Ma poi sono pochi quelli che ottengono dei risultati perchè molti si fermano. Prima ci volevano anni e anni di gavetta, oggi invece si arriva molto più semplicemente. Inoltre le scuole alberghiere non sfornano più giovani degnamente preparati all'approccio al mondo del lavoro".

I giovani, quindi, affollano i ristoranti. E "non serve nemmeno fare una campagna di sensibilizzazione: la tv e i giornali devono semplicemente testimoniare di una ristorazione sana, completa, basata su interessi generali e non privati, che è quella italiana". Tra cheeseburger, kebab, sushi e nuvole di drago, il posto riservato a capotavola lo hanno sempre le trenette al pesto o il baccalà alla vicentina, i maccheroni alla Norma o la cotoletta alla milanese. Parola, anzi, palato dei giovani.


Ringraziando i miei colleghi di master Francesco Maria Del Vigo e Marco Gervino, grandissimi buongustai, per aver rilasciato le preziose interviste.

(articolo pubblicato su Perchè cuochi? - febbraio 08)

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