lunedì 8 gennaio 2001

Cerco un centro. Anzi no

Sintesi della Follinissea tra sogni e contraddizioni

E’ il dicembre 1981 quando alla radio suona per la prima volta Centro di gravità permanente (dall’album La voce del padrone) di Franco Battiato. Da più di un anno Marco Follini è alla direzione nazionale della Dc. Governo Forlani. Poi Spadolini e Fanfani. Follini sta sotto lo scudo crociato fino al 1986, quando entra nel cda della Rai e ci rimane per sei anni. Intanto si arriva allo spartiacque del 1992: il ciclone di tangentopoli spezza l’incantesimo democristiano e spazza ogni dubbio su Mario Chiesa e seguito. La balena è abbattuta. Il centro di gravità non è più permanente. Parte la ricerca di un nuovo centro. In grado di superare la diffidenza di un elettorato che si sente tradito. In grado di sfidare una forza di gravità che negli ambienti ex-Libertas si sta facendo sempre più schiacciante.

Ventisei anni dopo. E’ il 13 febbraio 2007 quando al Senato Prodi va sotto sulla relazione delle missioni militari estere del ministro D’Alema. Ma a salvare il governo dalla crisi ci pensa Marco Follini, che vota per l’Unione. Il giorno seguente Libero titola in prima pagina “Colpa di questo qui” con la foto del “traditore”. Lui, ex vice-premier nel secondo mandato Berlusconi, ora è accusato di fare aumma aumma col “nemico”. Da destra a sinistra, passando per il centro. E’ l’odissea folliniana. Da quel 1981 sono cambiate molte cose. Anche Follini è stato costretto a rimescolare le sue carte. Il centro di gravità permanente non esiste più da ormai un ventennio. Lui però non si è mai arreso. Un bel giorno decide di saltare il fossato che divarica le due Italie per andare di persona dai riformisti del centrosinistra, prenderli per mano e accompagnarli verso il centro, verso un nuovo governissimo alla democristiana. Perché se la montagna non va a Maometto, Maometto va alla montagna…

E pensare che il 3 febbraio 2007, in occasione della presentazione del suo nuovo partito L’Italia di Mezzo all’assemblea dei circoli della Lombardia, Marco Follini ci tenne a sottolineare come il suo intento non dovesse essere confuso con quello dei suoi colleghi moderati: “Noi questo tentativo lo facciamo contando solo sulle nostre forze. Tutti gli altri la pensano come noi, ma stando rintanati al calduccio delle loro alleanze e delle loro convenienze. Il centro può rinascere solo grazie alla sua autonomia, partendo da sé. Rifiutando di andare a rimorchio dell'alleato più forte, del principe più generoso
[1]. Già, il più forte, il più generoso. O prendere tra Prodi e Berlusconi, o lasciare. Ma lasciare e camminare in solitudine è roba da intrepidi. Da gente con le palle.

La tiratona d’orecchi è al suo ex-presidente udiccino Pier Ferdinando Casini, reo di essersi fatto imbambolare dall’ipnosi-Berlusconi nonostante i numerosi singhiozzi di ribellione. Singhiozzi di insofferenza, colpetti bassi. Ma mai quel colpo netto che spezzasse una volta per tutte il cordone ombelicale che lo tiene legato al Cavaliere. Casini non ha avuto mai il coraggio di dire “ciao a tutti”. Follini sì. Dice “a mai più” e il 16 giugno 2006 dà vita alla sua nuova creatura, L’Italia di mezzo. Un nuovo centro. Per adesso, ancora un centrino. Ma certamente diverso, dice lui, da quelli tratteggiati dai vari Mastella, Rotondi, Pizza, dai vari volenterosi. Centri velleitari, fumosi. Che non osano divorziare dagli alleati. Follini, invece, sceglie la vita da single. Aspettando di conoscere nuovi amici. Ma se non arrivano bisogna pur andarseli a cercare da qualche parte. Buttando l’occhio a sinistra, i nuovi amici li trova nel Partito Democratico di Veltroni. Da dove, ora come ora, Marco non intende spostarsi di un millimetro: che abbia improvvisamente cambiato obiettivo? Arrivederci, caro centro di gravità permanente, che non fa cambiare idea sulle cose e sulla gente. Arrivederci o addio?


[1] Intervista di S. J. Scarpolini, www.lab.iulm.it, 5 febbraio 2007.

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