
Intanto al centrodestra lui le pulci le fa eccome. Le fa a molte leggi e leggine, soprattutto in tema di giustizia. La firma sull’impedimento della modifica della par condicio è sua. Di contro, subìsce la riforma Gasparri. Per il resto, difficile farsi valere in una classe dove il maestro ha i suoi cocchi: il debole che Berlusconi ha per Bossi è palese, tant’è che Follini trova in Fini una lieve complicità, torchiati dalla preoccupazione comune del Carroccio. Ma con il leader di An il patto non è di ferro, è più una sorta di convergenza parallela: “Avevamo in comune più gli avversari che le opinioni. Fini ha certamente sofferto l’anomalia del centrodestra, ha tentato di reagire, ma con qualche cautela di troppo” [3]. Follini se la deve cavare da solo: all’inizio della legislatura è tra i pochi a sostenere la riforma delle pensioni. Ma trova il muro di Fi e soprattutto della Lega, che teme di vedersi sfilare dalle tasche la devolution. Alla fine la rivoluzione istituzionale prende il largo quando Bossi ritira la sua contrarietà sulla previdenza. In questo gioco di ricompense Follini rimane al palo.
Con il Senatùr il rapporto è sempre stato rispettoso, ma tra due persone che sono agli antipodi e quindi faticano a capirsi, “anche se devo ammettere che Bossi ha una sua linearità e una sua limpidezza. Il suo percorso è sempre stato chiaro, non ha nulla del politicante. Io la maggior parte delle volte non sono d’accordo con lui, ma lungo il suo percorso non ci sono trappole, ha una sua consequenzialità” [4]. La sensazione è che tra Follini e Bossi non ci sia stima eccessiva, ma almeno un’accettazione reciproca. Per Marco il problema non è tanto Umberto, quanto il circolo di bossisti, “quel Circo Barnum che, peraltro, lui ha fatto di tutto per animarlo, quindi non posso giustificarlo più di tanto” [5].
Ma non solo la riforma costituzionale, non solo la legge elettorale. Nell’agenda di Follini c’è la questione della leadership. Il tema della discontinuità. Perché continuare con il Cavaliere sarebbe deleterio. Ottenuta la crisi di governo, Follini convoca il secondo congresso del partito: “Cambiare cavallo era il modo più forte e più nitido per cambiare percorso” [6]. Silvio è indignato, si sente pugnalato alle spalle. Peccato che il discorso folliniano, per quanto aggressivo, non trovi il consenso di Casini, che anziché parlare di allontanamento da Berlusconi suggerisce, al contrario, di porsi più verso il premier e meno verso il segretario udiccino. Ma guarda un po’: proprio Pier, che per tutta l’estate ripeteva in tutte le salse “bisogna cambiare”, ora che fa? Aggiusta la posizione del partito e crea il vuoto attorno a Follini. Poi succede che la legge elettorale viene rivisitata in senso casiniano e Berlusconi rimane dov’è. Marco è sempre più solo.
[1] Marco Follini, Uno contro tutti (intervista con Carlo Puca), Marsilio, 2008, p. 11.
[2] Ibidem, p. 18.
[3] Ibidem, p. 22.
[4] Ibidem, p. 32.
[5] Ibidem, p. 33.
[6] Ibidem, p. 33.
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