mercoledì 3 gennaio 2007

La pena di morte sta lentamente morendo

Stop ai boia. Che cambino mestiere. Così New York ha dato i numeri. Perché la pazzia dell’uomo sembra dirigersi, finalmente, verso il tramonto. 99 voti a favore, 52 contrari e 33 astensioni. Il 15 novembre scorso la terza commissione delle Nazioni Unite ha approvato la Risoluzione sulla moratoria della pena di morte. Per una volta, dobbiamo essere orgogliosi di noi stessi e della nostra tenacia (mica siamo solo bamboccioni!): chi ha voluto fortemente il passaggio del testo è stata l'Italia, che da ben 13 anni conduce la battaglia per la moratoria. I tre precedenti tentativi, nel 1994, nel 1999 e nel 2003, erano falliti. Ma chi la dura la vince. Così la risoluzione L29, presentata da Nuova Zelanda e Brasile, è stata depositata presso la Terza Commissione con l’inizio delle procedure di voto e con l'esame degli emendamenti.

Il testo, che ha ottenuto due voti in più della maggioranza richiesta dei 97 necessari per raggiungere la maggioranza assoluta e che ora si trova sotto esame dell’Assemblea generale (dove dovrebbe essere votata entro la metà di dicembre), chiede «la moratoria delle esecuzioni in vista della loro abolizione» e fa appello agli Stati che applicano la pena capitale a «ridurne progressivamente» l'uso e «il numero di delitti per i quali può essere imposta». Con un rinvio ai principi della carta delle Nazioni Unite e «richiamando» la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, la risoluzione chiede al segretario generale Ban Ki-moon di far rapporto sulla sua attuazione alla 63esima Assemblea Generale che si aprirà a New York nel settembre 2008. La risoluzione non è un documento vincolante, ma ha forte peso morale, tant'è che per due volte, nel 1994 e nel 1999, i Paesi del partito della pena di morte sono riusciti a far deragliare iniziative analoghe spaccando la coesione europea.

88 sono i paesi che fino ad oggi hanno abolito l’estrema esecuzione per tutti i reati. 11 si sono riservati solo la possibilità di applicarla per motivi eccezionali (soprattutto in tempo di guerra). 30 ne aggiunge Amnesty International: sono gli stati “abolizionisti di fatto”, così definiti in quanto negli dieci ultimi anni non hanno eseguito nessuna sentenza capitale, anche se prevista dalla loro legislazione. Secondo Robert Badinter, ministro della giustizia ai tempi dell'eliminazione della ghigliottina in Francia nel 1981, uno dei successi della battaglia abolizionista è stata l'istituzione della Corte penale internazionale, che rifiuta il patibolo. Che continua invece ad essere applicato in 68 paesi, tra cui la Cina, gli Stati Uniti, il Giappone, l'India e la maggior parte degli stati del Medio Oriente. Sempre Amnesty international rileva che almeno 2.148 prigionieri sono stati giustiziati in 22 paesi nel 2006 e 5.186 persone sono state condannate a morte. Si tratta di cifre sottostimate, poiché i paesi con il più elevato numero di esecuzioni, come la Cina, l'Iran o l'Arabia Saudita, occultano segretamente queste cifre agghiaccianti. Le aree in cui vengono emesse più sentenze di morte sono gli Stati Uniti, il Medio Oriente e l'Asia. La Cambogia, il Nepal e le Filippine sono gli unici paesi asiatici ad aver soppresso la pena capitale. Nell'ultimo decennio non è mai stata applicata né nello Sri Lanka né in Birmania (dove però è in corso un altro tipo di eliminazione dopo le ferree disposizioni del presidente Musharraf). E' però ancora in vigore nei due principali stati democratici del continente, India e Giappone.

Le esecuzioni brutalizzano tanto chi è coinvolto nel processo quanto la società che le mette in atto. Da nessuna parte viene dimostrato che la pena di morte riduca il crimine o la violenza politica. Paese dopo Paese, è usata, in modo sproporzionato, contro i poveri o contro le minoranze etniche. È frequentemente adoperata come strumento di repressione politica. È imposta e inflitta in modo arbitrario. È un castigo irrevocabile che ha come inevitabile conseguenza l'uccisione di persone spesso innocenti.

Ora si attende il voto definitivo da parte dell’Assemblea Generale dell’Onu. Stop alla vendetta capitale, stop all’ultima ingiustizia: l’Italia è fiduciosa. Sarà una vittoria umanitaria che potremo sentire nostra.

(articolo pubblicato su All'ombra del Rodes - dicembre 07)

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